Si sta svolgendo in queste ore, in quel di Casale Monferrato, il “Casale Comics & Games”. La fiera, che è cominciata ieri e terminerà stasera, è distribuita su tre locations: il Castello, il Palafiere Riccardo Coppo e il Teatro Municipale.
Suddiviso per aree di interesse (comics, giappone, cosplay, doppiaggio, spettacolo, giochi, mattoncini, kids, videogames, attività e mostre), il “Casale Comics & Games” è giunto alla sua ottava edizione (si è fermato solo nel periodo Covid), confermandosi una delle fiere del settore più in crescita del nord Italia.
La locandina del “Casale Comics & Games”
Tra gli innumerevoli ospiti di questa edizione non poteva non esserci Gea Ferraris, casalese di origine, disegnatrice e colorista tra le più interessanti del mondo del fumetto. Tra le pubblicazioni più note cui, a vario titolo, ha partecipato, ricordiamo: “Eternit - dissolvenza in bianco” (graphic novel edito da Futura Editrice sulla storia della fabbrica omonima di Casale); “Davvero” 3 e 7 (terzo e settimo albo del fumetto Star Comics ideato da Paola Barbato); "Valentina amarcord" e "Valentina Hermès" (due nuove avventure della Valentina di Crepax per la rivista Lampoon Magazine); "L'appuntamento" (secondo volume di una serie poliziesca); il romanzo croato per bambini "Velike avanture malog Orehovića"; “Last goodbye - Un tributo a Jeff Buckley” (graphic novel pubblicato da Edizioni BD sulla vita del cantante omonimo); “Sugarpop” (graphic novel francese pubblicato da La Musardine).
Ho incontrato Gea proprio al “Casale Comics & Games” e l’ho intervistata per voi.
Benvenuta, Gea. Qui al Casale Comics sei di casa...
Decisamente, sì. Fin dalla prima edizione: non posso mancare. Se non ci vengo, vuol dire che mi è successo qualcosa di grave! Sono felicissima che esista una fiera del fumetto nella mia città. Ricordo ancora quando, il primo anno, hanno annunciato che ci sarebbe stata... quasi non ci credevo! Parliamo di dieci anni fa, più o meno. All'epoca le fiere di fumetto si facevano a Milano, a Torino... nelle grandi città. A Lucca, che fa storia a sé. Casale, pur non essendo piccolissima, di certo non è una metropoli. Perciò il fatto di avere una fiera del fumetto proprio sotto casa, senza dover prendere un treno, organizzare un viaggio, dormire fuori... è bellissimo. Poi sapere che c'è qualcuno talmente appassionato di fumetti da dire: "Voglio che anche Casale abbia la sua fiera!"... Beh, è una cosa che riempie di orgoglio.
C'è anche il piacere di vedere come, ogni anno, la fiera migliori: sono appassionati, lavorano bene, con cura. È un evento che nasce da una passione sincera per il mondo del fumetto e del gioco.
Quando hai scoperto la passione per il disegno e l’illustrazione?
Da bambina. Mi piacevano le storie — le leggevo o me le facevo leggere, prima ancora di saperlo fare da sola. Mi piaceva inventare storie e illustrarle. Chissà se mia madre ha ancora quel vecchio foglio da pacco — tutto tagliato storto — dove avevo scritto la storia della principessa Movola (non so davvero da dove fosse uscito questo nome!). Insomma, mi piaceva visualizzare ciò che vedevo nella mia mente.
Al fumetto ci sono arrivata un po' più tardi. Da piccola leggevo Topolino, Il Corriere dei Piccoli. Poi crescendo ho scoperto Dylan Dog.
Ho fatto il liceo classico. In realtà mi sarebbe piaciuto fare l’artistico, ma ho seguito il consiglio dei miei genitori: mi hanno detto che forse era presto per scegliere una strada troppo specifica. Avevano ragione: il classico mi ha dato una base culturale solida e mi è sempre piaciuta la letteratura, quindi non è stata una forzatura. Poi mi sono iscritta ad Architettura a Milano. L’ho fatto con convinzione, ma lì ho capito che era la creatività “sbagliata” per me. Architettura è affascinante, ma richiede anche una parte tecnica, calcoli... cose non proprio nelle mie corde.
Infine, partecipando a una piccola “fierina” che si faceva dentro la fiera campionaria di Casale, ho scoperto che il fumettista poteva essere un lavoro vero. Un giorno è venuto Angelo Stano, il copertinista storico di Dylan Dog. Mi sono fatta coraggio, gli ho mostrato i miei disegni, e lui è stato gentilissimo. Mi ha consigliato la Scuola del Fumetto di Milano, dove aveva insegnato. Così ho lasciato Architettura (mi ero appena laureata alla triennale) e ho iniziato la Scuola del Fumetto.
Parliamo di “Eternit - dissolvenza in bianco”. Come è nato il progetto?
L’idea è stata di Assunta Prato, che ha scritto la storia. Era entrata nell’Associazione Familiari Vittime dell’Amianto dopo aver perso suo marito per mesotelioma pleurico. Voleva raccontare la storia della fabbrica in un modo nuovo: erano già usciti libri sull’argomento, ma nessuno aveva mai fatto un fumetto. Mi ha contattata per propormi il progetto e io ho accettato subito. Era una storia da raccontare, per la memoria, per il messaggio, perché, anche se a Casale si è fatto molto (ricerca, bonifiche, giustizia), l’amianto nel mondo esiste ancora.
La copertina di “Eternit - dissolvenza in bianco”
Casale ha sofferto tantissimo, ma è anche diventata un simbolo di lotta e consapevolezza. È forse la città più bonificata d’Italia, o comunque tra le prime. C’è stata una grande mobilitazione, non solo locale, ma anche nazionale, grazie al collegamento con le altre città coinvolte: Bagnoli, Rubiera, Cavagnolo… e anche Monfalcone, dove c’era un'alta incidenza di mesotelioma tra i dipendenti del cantiere navale di Fincantieri.
L’obiettivo è sempre stato questo: non dipingere Casale come una città-fantasma o da evitare, ma come un esempio positivo di reazione civile. E “Eternit - dissolvenza in bianco” voleva raccontare proprio questo. Far conoscere la storia a chi non è coinvolto direttamente. Per chi la vive è più facile interessarsi, ma in realtà è un problema che riguarda tutti. Pur essendo di Casale, ho la fortuna di non aver avuto vittime in famiglia. Ma, anche così, la questione mi tocca lo stesso.
Due vignette tratte da “Eternit - dissolvenza in bianco”
Ho avuto il privilegio di ascoltare i racconti dei protagonisti in prima persona. Li ho conosciuti tutti, quelli che compaiono nel libro. Leggevano anche le parti che li riguardavano, a volte correggevano, dicevano: “Questo sì, questo no, io non l’avrei detto così.” È stato un lavoro fatto insieme, in concerto con tante persone diverse. Un’esperienza intensa, anche di ricerca: dai giornali dell’epoca, dai racconti. Ho scoperto storie che conoscevo poco o per niente. Uscivo a fare le foto, per disegnare lo scorcio giusto, il palazzo preciso... Mi rendevo conto che alcuni luoghi negli anni ’70 erano diversi. Allora cercavo le foto d’epoca, oppure ricostruivo a memoria, chiedendo a chi c’era.
Secondo te gli artisti hanno il dovere di raccontare storie sociali?
Il dovere no. Credo che ogni artista segua la propria inclinazione. È giusto anche raccontare storie di pura fantasia, ce n’è bisogno. Ma è vero che possiamo portare una voce in più, e spesso è una voce forte, capace di arrivare dove altre forme non arrivano. Il fumetto, ad esempio, può essere una via narrativa che avvicina persone che magari non leggerebbero mai un saggio o un’inchiesta.
Anche le storie di fantasia possono trasmettere messaggi, usando metafore. Però ben vengano i racconti basati su fatti reali: ti colpiscono, ti fanno riflettere. E magari, una goccia alla volta, aiutano a migliorare un po’ il mondo.
Hai disegnato Valentina di Crepax. Un personaggio leggendario. Un’impresa da far tremare i polsi...
Eccome! È stato un “Oh mio Dio, che figata!” ma anche “Aiuto, è più grande di me!”. Però non ho avuto dubbi. Me l’ha chiesto Micol Beltramini, che aveva già curato “Viva Valentina”, una raccolta di storie nuove con vari autori. Poi collaborava con Lampoon Magazine, una rivista di moda che, in ogni numero, presentava una nuova storia di sei pagine. Io e lei ne abbiamo realizzate due: “Amarcord” e “Hermes”. La prima si ispirava a un numero della rivista che includeva interviste a personaggi del calibro di Franca Valeri e Carla Fracci. Micol ha creato una storia in cui Valentina e Philip rievocano episodi del passato. La seconda era più leggera, narrava le origini della borsa Kelly e della Birkin, con Grace Kelly e Jane Birkin come protagoniste. Non sono esperta di moda, ma scoprire queste storie è stato molto interessante. Valentina poi è un personaggio affascinante. Bella, sì, ma carismatica, con qualcosa da dire. Non è una pin-up vuota: è una fotografa di moda, perfetta in quel contesto.
La Valentina di Crepax vista da gea Ferraris
Ogni tua pubblicazione è diversa.
Sì, cerco di adattarmi. Un’inchiesta è diversa da un libro per bambini o da un fumetto come Valentina. Però c’è anche una parte inconscia. Io, ad esempio, non saprei dirti quali siano le caratteristiche peculiari del mio tratto. C’è una componente che è come la grafia. Disegni così semplicemente perché sei fatto così.
Hai lavorato anche alla biografia a fumetti di Jeff Buckley. Come è nato quel progetto?
Anche questo è arrivato da Micol Beltramini, per una collana di biografie musicali delle edizioni BD. Non conoscevo Buckley a fondo, ma era un’occasione per approfondire. Micol scrive benissimo, e per il progetto aveva pensato a una narrazione divisa per capitoli, ciascuno dal punto di vista di chi lo ha conosciuto. Mi mandava dei layout, non una sceneggiatura classica. Era un modo interessante per iniziare, ti dava già una direzione. Poi discutevamo insieme eventuali modifiche. Mi sono documentata molto, ho ascoltato le canzoni del protagonista, visto documentari… È stato anche un tuffo nei miei amati anni ’90.
La copertina di “Last goodbye - Un tributo a Jeff Buckley”
La morte di Jeff è ancora oggi un mistero: incidente o suicidio? Micol è riuscita a raccontarla in modo poetico e rispettoso, evitando di essere didascalica o trarre conclusioni forzate. Ti dà le informazioni note, ma lascia spazio all’interpretazione. L’ho trovato un approccio elegante e commovente, si percepisce anche l’affetto sincero per il personaggio. A suo tempo presentammo il volume anche al Casale Comics. C’era Paolo Bonfanti che suonava i brani di Jeff: è stato un momento toccante.
Il genere biografico/storico pone difficoltà particolari?
Dipende. Se la storia mi coinvolge, come quella di Buckley, la affronto volentieri. È un personaggio malinconico ed euforico, pieno di sfumature. Invece, raccontare una guerra, per esempio, non mi attira allo stesso modo. Però tutto dipende da come viene narrata: anche un argomento che di solito non mi piace può conquistarmi se ben scritto. Una storia reale ha il vantaggio della documentazione, quando disponibile. Con Jeff o l’Eternit avevamo molte fonti. Se invece racconti un personaggio vissuto secoli fa, spesso devi inventare, con il rischio di sbagliare.
Recentemente ti sei cimentata con “Sugarpop”, un fumetto erotico. È stata la tua prima volta nel genere?
Sì, è stata la prima volta e l’ho trovata divertente e liberatoria. La storia è di Damjan Stanich, io ho curato i colori. L’erotico è un genere pieno di pregiudizi, spesso ingiustificati. Certo, ci sono contesti dove esistono abusi, ma se c’è consenso e libertà, perché stigmatizzare chi sceglie quel lavoro? “Sugar Pop” è proprio la storia di una donna che sceglie di lavorare nel mondo del sesso, ma il compagno, pur dichiarandosi d’accordo, non riesce ad accettarlo. Parla di autodeterminazione e del percorso interiore di entrambi i personaggi. È un tema interessante e delicato, trattato con profondità. Dal punto di vista del disegno, l’erotico si svolge come qualsiasi altro lavoro: mentre disegni sei concentrata su anatomie, proporzioni, composizione. Non è un’esperienza “sensuale” in sé, è molto tecnica. Certo, ti impegni per rendere la scena stimolante per chi la leggerà, ma nel farla sei immersa nei dettagli pratici. Il fumetto esce in Francia il 22 di questo mese in versione cartacea e Kindle, al momento solo in francese, ma stanno lavorando anche alla versione inglese. Qui al Casale Comics abbiamo comunque già qualche copia.
Stai partecipando anche a un progetto collettivo internazionale: di cosa si tratta?
È “I Am the Woods”, un fumetto americano nato da un’idea di un autore al suo primo lavoro nel fumetto. È stato lanciato da poco su Kickstarter. Ogni capitolo è disegnato da un artista diverso. Io ho colorato tavole di Damjan Stanich e di altri. È un progetto vario e stimolante, proprio per la diversità di stili, però al momento non posso dire di più.
Trovate Gea Ferraris presso l’Artist Alley del “Casale Comics & Games”.
Noi ci rileggiamo, come al solito, la prossima settimana.