“Dire con precisione come sia iniziato non lo so. So solo che da un giorno all’altro, all’improvviso, c’ero dentro fino al collo”. Usa parole che arrivano dritte al cuore, Martina Gorgoglione, chivassese, per raccontare un calvario durato più di un decennio.
Ha 31 anni, ma la vita, quella vera, ha imparato a conoscerla da poco. Da quando è finalmente riuscita a sconfiggere un male subdolo, nascosto, logorante. Un male che le ha rubato gli anni più belli della vita. I disturbi alimentari. Anoressia nervosa prima e bulimia poi. Ha deciso di raccontare la sua storia in occasione del 15 marzo, la Giornata Nazionale della Fiocchetto Lilla, promossa dal consiglio dei Ministri per la sensibilizzazione sui Disturbi dell’alimentazione per lanciare un messaggio a chi, in questo momento, sta soffrendo come ha sofferto lei. E a tutte le famiglie che hanno perso la speranza. Perchè, bisogna specificarlo, soffrire di un disturbo alimentare, non significa smettere di mangiare. O, almeno, non solo.
“Significa sentirsi sempre sbagliati, non all’altezza, inferiore rispetto agli altri. Significa sentirsi giudicati, pensare costantemente di non essere adatta, non solo fisicamente ma, soprattutto, umanamente”. E significa anche che quel pensiero finisce col diventate un chiodo fisso. Un’ossessione.
(Martina durante il suo periodo più buio)
“Mi sentivo sempre giudicata per ogni cosa e mentre la mia mente pensava costantemente a questo, non mi rendevo conto di aver iniziato a mangiare sempre meno - rivela -. Era diventata un’ossessione e tutto questo si è riversato sull’alimentazione. Perdere peso, ricevere attenzioni per una nuova forma fisica era diventato per me un ‘trofeo’. Significava che per una volta ero brava anch’io in qualcosa”.
Quello che Martina non vedeva, o che non riusciva a vedere, era però il resto. Ossa sporgenti all’inverosimile, viso scavato, ricerca ossessiva del movimento fisico. Mancanza di forze, rabbia. Pizza, carne, dolci, piatti più elaborati erano diventati un tabù. Al loro posto, c’erano i rituali: televisione sempre spenta e porta della cucina serrata ai pasti, orari fissi per il pranzo e per la cena. Nessun invitato a Natale e nessuna uscita con gli amici, perchè la socialità significava solo una cosa. Mangiare.
“Non sono stata io a capire che qualcosa che non andava - ricorda -. E' stata la mia famiglia, che aveva iniziato a notare non solo il dimagrimento ma anche il calo di umore e la mia rabbia nei confronti di tutti. Così dopo diversi incontri con psicologi a pagamento, una di loro capì che poteva esserci un disturbo alimentare. Mi diede un biglietto con un numero di telefono. Era il numero del centro disturbi alimentari delle Molinette. Impiegai mesi per fissare un appuntamento, dovevo farlo io e lo feci poco convinta. Io non vedevo il mio corpo cambiare nè sentivo i miei vestiti larghi come sacchi, li sentivo stretti quindi per me la malattia era frutto della fantasia degli altri”.
La diagnosi ufficiale è arrivata tra il 2009 ed il 2010. “Quando mi dissero che avevo l’Anoressia nervosa non ci credevo, non ero io quella persona”. L’ago della bilancia scendeva sempre di più appena eppure Martina era ancora convinta di essere in salute.
Il problema è che il peggio doveva ancora arrivare. E il peggio è arrivato con le continue corse in ospedale.
“La prima volta mi minacciarono di mettermi un sondino per alimentarmi per cui accettai di intraprendere un percorso anche nutrizionale, che però non seguivo”. Poi un giorno l’ago della bilancia ha toccato quota 30 chili e con lui è arrivato anche il primo ricovero d’urgenza. “Quel giorno a mia mamma e mia sorella dissero che ormai avevo i principali organi interni, come il fegato, compromessi, e non sapevano se mi sarei ripresa. Anche alimentarmi artificialmente era diventato pericolo. Il mio corpo si era abituato a ricevere talmente poco che qualcosa in più avrebbe potuto causarmi la morte…”.
Da quel giorno, Martina Gorgoglione è entrata e uscita dall’ospedale almeno una decina di volte. E mentre si spostava da Villa Turina a San Maurizio Canavese a Vicenza e Genova, la malattia si è trasformata. “Dall’Anoressia sono passata alla Bulimia, che mi ha fatto recuperare un po’ di quel peso che avevo perso”. Poi qualcosa è cambiato. “Ho iniziato a fidarmi dei medici e di quello che mi dicevano, e di questo non posso non ringraziare il dottor Francesco Zirilli dell’Asl To4 e della sua equipe, ma ho finalmente realizzato che stavo guarendo quando guardandomi allo specchio mi sono veramente vista con i miei occhi, mi facevo paura. Avevo paura di morire e di far soffrire ancora di più le persone che mi vogliono bene”.
L'obiettivo di Martina è dimostrare che guarire si può: “Vorrei che la mia esperienza sia motivo di speranza e soprattutto mi farebbe piacere se di tutto si prendessero solo le cose positive come la condivisione, la perseveranza, la forza di andare avanti nonostante tutto, la voglia di essere finalmente libera da quelle catene mentali che mi imprigionavano e mi impedivano di vivere, perchè quella di prima non era vita ma sopravvivenza”.
Secondo l’ultimo studio reso noto dalla Regione Piemonte si calcola che “le persone afflitte da tutte le forme di disturbo alimentare siano oltre 200 mila. I quadri diagnostici più gravi - anoressia nervosa e bulimia nervosa - nelle stime più basse hanno una prevalenza di 0,5% (anoressia nervosa) e 1,2% (bulimia nervosa)”. Significa che in Piemonte si possono stimare circa 20.000 persone affette da anoressia nervosa e più del doppio da bulimia nervosa. Negli ultimi due anni, inoltre, i numeri sono cresciuti in modo esponenziale a causa del lockdown e la Regione Piemonte ha già annunciato di aver attivato la Rete dei servizi regionali per la prevenzione e cura dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.
“Ma questo non basta - conclude Martina -. Serve un supporto costante, anche e soprattutto per quelle persone che non possono permettersi di accedere alle cure velocemente ed in forma privata”.