Occhi puntati sul 14 settembre,  la data fissata per la ripartenza della scuola in presenza. Con tutte  le incognite del caso legate all’emergenza sanitaria in atto. In  Piemonte le lezioni sono state interrotte a fine febbraio. 
La  didattica a distanza ha limitato la diffusione della prima e - fino a  qui - unica ondata pandemica. Ma la necessità di tornare a scuola in  presenza è stato un punto fermo di questi mesi. Per le famiglie, per gli  studenti, per i docenti e per tutto il personale che gravita attorno al  mondo scuola. Il tema è stato al centro di dibattito politico e  istituzionale. Resta comunque in primo piano il tema salute.
I contagi in aumento nel mese di agosto hanno fatto temere per la riapertura degli istituti scolastici. 
Ma  - si può dire - al momento il rischio sanitario non è paragonabile ai  picchi di marzo, aprile e maggio. Rimane fondamentale, ad ogni modo,  mantenere alta l’attenzione. E su questo tutti gli esperti sembrano  convergere. Anche se con prospettive, magari, differenti. 
Ma come ripartire e salvaguardare la salute di studenti e personale scolastico? Lo abbiamo chiesto al dottor Giulio Michele Barbero, pediatra e fino a pochi mesi  fa segretario regionale della Fimp, la Federazione Italiana Medici  Pediatri. 
Dottor Barbero, rischioso riaprire le scuole? 
Chiaramente  bisogna considerare che i plessi riaprono in una situazione pandemica  tutt’altro che sparita. Ma riaprire le scuole è una priorità: non  possiamo fare a meno di provarci. Ben consci che si tratta di una  situazione unica, bisogna utilizzare il buon senso e collaborare su  diversi piani senza conflittualità di sorta. 
Come distinguere un male di stagione da un sospetto caso Covid?
Il  fattore della stagionalità inciderà non poco nei prossimi mesi. Un  bambino dai 3 ai 10 anni si ammala molto: durante il periodo invernale  sono innumerevoli le forme virali che riscontriamo. Malanni di stagione,  possiamo dire banali, ma che sono anche utili nell’infanzia per  sviluppare gli anticorpi. Da adesso in avanti di fronte a una chiamata   di un genitore che ci segnala, per esempio, una febbre, non possiamo  essere superficiali. Ogni bambino con la febbre potrebbe essere  potenzialmente un contagiato Covid. 
Andiamo nel pratico. Il genitore di un bambino chiama per una febbre alta che perdura da 24 ore. Qual è l’iter?
Ogni  bambino con febbre perdurante o altri sintomi va visitato. Il rischio è  che se un bambino con 39 di febbre fissa è passato nel mio ambulatorio  e questo poi risulta essere successivamente positivo Covid io devo  chiudere il mio studio per garantire la sicurezza di tutti gli altri  pazienti. Inoltre la classe che frequenta dovrà andare in quarantena. Lo  stesso i genitori. 
E quindi? Cosa si può fare per evitare che questo accada?
Stiamo  lavorando con la Regione a una sorta di “Drive In” dove viene  fatto il “tampone rapido”  ai bambini sopra l’anno e mezzo prima di  entrare negli ospedali o negli ambulatori. Il bambino con la febbre  torna a casa e in un paio di ore si ha un riscontro sull’esposizione o  meno a Covid. Questo consente un discrimine per differenziare il  trattamento ospedaliero. L’idea potrebbe prendere piede negli ospedali  di Cuneo, Saluzzo e Savigliano, ma è ancora in fase di definizione.
Consiglia il vaccino anti influenzale in questa fase delicata?
Sì, lo consiglio. Aiuterebbe a evitare confusione. Una febbre in meno è una diagnosi differenziale in meno. 
Mascherine a scuola, sì o no?
La  mascherina chirurgica non ha mai ucciso nessuno. Consiglio di usarla  quanto più possibile. Anche nei bambini, naturalmente sopra l’anno e  mezzo. Non c’è nessun vantaggio a non indossarla. E’ una dimostrazione  di senso civico insieme al mantenimento del distanziamento e al lavarsi  spesso le mani.
La febbre va misurata prima di andare a scuola?
Se  possibile sì. Ma ricordiamo che la febbre è solo uno dei sintomi.  Necessario che la famiglia sia attenta ad individuare tutti i sintomi  che potrebbero presentarsi anche senza febbre prima di mandare il figlio  a scuola. Attenzione a tosse, raffreddore, scariche diarroiche e  vomito. In questi casi anche in assenza di febbre è consigliabile tenere  a casa i figli.
Quanti casi Covid in età infantile in questi mesi? 
Pochissimi.  In provincia di Cuneo si parla di 2 o 3 casi per ospedale (Cuneo,  Savigliano e Mondovì ndr) da inizio emergenza in bambini tra gli 0 e i  14 anni. E praticamente nessun patologico. 
Cosa bisogna evitare nei prossimi mesi? 
Un’ondata  di positività tra bambini, adolescenti e studenti che si rifletta poi  sulle famiglie. Per questo è necessario lavorare di prevenzione. Pur  sapendo che non sappiamo a cosa stiamo andando incontro. L’attenzione  dovrà essere altissima nel periodo che va da ottobre a marzo quando i  sintomi influenzali potrebbero confondersi con i sintomi Covid. 
Come ha influito il lockdown in età infantile?
Ha  avuto molti effetti e dobbiamo ancora studiarli tutti. L’allontanamento  da una vita sociale è stato sicuramente nocivo sia da un punto di vista  fisico che mentale. Come lo è stato per i bambini che vivono in  situazioni familiari complicate. Ma dall’altra si è riscoperta  l’attività familiare in condivisione. 
Come vede la situazione attuale?
Nuova  e difficile. Ma in Italia siamo comunque all’avanguardia a livello  europeo. Come pediatri ci distacchiamo dalle posizioni espresse dai  negazionisti o da chi pensa sia “ganzo” non portare la mascherina. Dire  “non è niente” quando nel primo periodo sono morti 300 medici di base  non è un comportamento “civico”. Dobbiamo stimolare i genitori ad essere  “tutelanti” senza minimizzare, ma nemmeno senza spaventarsi. Il loro  ruolo sarà fondamentale in questa fase.  
Anche medici e pediatri hanno quindi bisogno della collaborazione delle famiglie... 
Il  messaggio è ‘Proviamoci insieme’. Noi siamo ottimisti, mettiamo le  competenze mediche, ma abbiamo bisogno di collaborare a 360°. Così  possiamo immaginare una società in grado di convivere in questo periodo  complicato. Con tutte le incognite che potranno esserci...