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Attualità | 04 febbraio 2019, 22:33

Antonella e Omar: un reportage in Kenya, tra povertà e amore (GALLERIA FOTOGRAFICA)

I due fotografi chivassesi sono andati in missione come volontari del Cottolengo.

Antonella Cilia con due bambini in Kenya

Antonella Cilia con due bambini in Kenya

Non potrebbero essere più tristi di così perchè con loro, la vita, è stata tanto ma tanto crudele. Hanno l'Hiv, eppure sorridono, con quella felicità che ti arriva dritta al cuore. Come una freccia. Sono disabili, molte volte solo fisicamente. Delle altre anche mentalmente. Eppure hanno fame di vita. E non hanno paura di dimostrarlo. Tu guardi i loro visi e ti si spezza il cuore. Eppure sono loro, che con un abbraccio ti rimettono tutto a posto. Anche se dovrebbe essere il contrario.

Lo sanno bene Antonella Cilia, fotografa chivassese, ed il suo compagno, Omar Ledda.

Da tre anni, nel loro studio fotografico Vanilla Images, una volta a Verolengo e oggi nella centralissima via Torino a Chivasso, fotografano i neonati, i bambini e le mamme in gravidanza immortalando alcuni dei momenti più belli di una famiglia. Ma non tutti sono così fortunati.

Lo scorso 13 gennaio, Antonella e Omar sono partiti come volontari per una missione del Cottolengo in Kenya. Lì, ci sono rimasti fino al 31.

“Da un anno eravamo in contatto con la responsabile delle missione in Kenya del Cottolengo – racconta Antonella, a cuore aperto - ci aveva chiesto di effettuare un reportage fotografico come volontari delle loro cinque missioni in Kenya per poter sensibilizzare le persone alla sofferenza dei tanti bambini che vengono ospitati nelle loro strutture”.

Cosi hanno deciso di iniziare “la nostra Avventura del Cuore”. “Abbiamo lasciato il lavoro per tre settimane e ci siamo occupati di fotografare ogni emozione che vedevamo”.

La prima tappa del loro viaggio è stata Nairobi. “Abbiamo giocato – continua -, imboccato, cambiato i pannolini di decine di bambini malati di Hiv, bambini piccolissimi dai 3 mesi ai 3 anni abbandonati dai genitori perchè malati. Ci si affeziona subito a questi bimbi che regalano cosi tanti sorrisi e hanno bisogno di tantissimo affetto”.

Dopo 5 giorni sono partiti per Tuuru, sette ore di strada sterrata a 1800 metri sul livello del mare. Qui vengono ospitati bambini disabili mentali e fisici. “Ci vuole molta forza d'animo per poter convivere ed aiutare questi piccoli. Si vedono delle situazioni cosi gravi e difficili. Appena arrivata, non ce l'ho fatta e mi si è lacerato il cuore, non riuscivo a smettere di piangere. Ma poi sono loro stessi a ‘curarti’ con i loro sorrisi, e ti danno la forza per ridere insieme a loro”.

Poi è stata la volta di Chaaria, “un grande ospedale in mezzo al nulla, tra case sperdute e strade di fango, dove ogni giorno ci sono casi di massima urgenza e dove vengono salvate centinaia di vite”, Gatunga e Mukothima, alcune delle zone più povere e desertiche del Kenya.

E raccontare cosa i due chivassesi hanno visto non è facile.

“Abbiamo conosciuto delle famiglie in situazioni di disagio davvero grave”. Mamme che mettono al mondo bambini senza sapere se sopravviveranno perché gli strumenti a disposizione per farli nascere sono inesistenti, ragazze legate con delle corde agli alberi, “alla stregua di un cane”. L’unica colpa, quella di soffrire di deficit cognitivi, causati, molte volte, da malattie non curate. Qui, in Kenya, si crede ancora che la disabilità sia dovuta ad una maledizione o ad una punizione. “Queste credenza culturali influenzano il modo di vedere i disabili, essendo visti come essere maledetti, hanno scarso accesso alle prestazioni sanitarie, alla scuola e al lavoro”. “L’impegno della missione di Tuuru – sono le parole di Antonella - è quella di far capire che il disabile non è un essere maledetto da violare ed emarginare, non deve essere portato dallo stregone che opera solo violenze sessuali, il disabile deve essere amato, protetto, curato e assistito a livello sanitario e scolastico”.

Impossibile non chiedere cosa hanno provato.

“Ho provato prima di tutto amore, i bambini di Nairobi e Tuuru sono in grado di regalarti cosi tanto pur non avendo nulla, in una foto sono abbracciata ad una bambina malata di Hiv, veniva sempre a cercarmi, non voleva altro che stare abbracciata con gli occhi chiusi. Se ne stava stretta stretta a cercare un affetto che non potrà mai vere dalla sua mamma che l'ha abbandonata. I bambini disabili poi, cosi bisognosi di tutto, e sono quelli che ti spiazzano, ti prendono il cuore, lo riempiono di amore e poi lo distruggono in mille pezzi perchè sai che non puoi fare molto per loro, se non aiutarli a mangiare, a giocare con loro perchè rimarranno per sempre disabili in una terra che li considera maledetti e di cui vergognarsi e abbandonare per strada”.

Quindi conclude: “Ecco sono tornata in Italia con il cuore in frantumi, mi mancano tutti terribilmente e spero di poterli aiutare anche dall'Italia con conferenze e incontri organizzati dal Cottolengo e da qualsiasi associazione vorrà far conoscere le loro storie.

Il cambiamento che ha portato in noi è cosi grande che me ne rendo conto giorno per giorno, nella compassione per il prossimo, nell'attenzione verso gli altri e verso le piccole abitudini quotidiane che ci fanno vivere una vita privilegiata, ma che ignoriamo. Nel ricordo e nella speranza di poter riabbracciare un giorno di novo questi bambini”.

Antonella e Omar, oggi, hanno ripreso a fotografare i loro bambini e le loro mamme, ma continueranno a diffondere la loro testimonianza e a far conoscere le attività del Cottolengo, affinché qualcun altro possa dare il proprio contributo.

Antonia Gorgoglione

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